di Patrizia Creazzo
Il bullismo è quel fenomeno in cui una persona agisce prepotenza in modo intenzionale,orientato a creare un danno fisico o psicologico e continuativo nel tempo, verso la stessa persona. La vittima risulta palesemente inferiore di forze rispetto al bullo, quindi incapace di difendersi (fenomeno osservato e studiato dal norvegese Dan Olweus).
I contesti in cui è possibile osservare tale fenomeno sono la scuola, i centri sportivi, i centri ricreativi e, con l’avvento di internet, sulla rete col nome di Cyberbullismo. I dati riportati dalle statistiche dimostrano come il fenomeno sia diffuso tanto da rendere necessaria una legge e un campagna di prevenzione. L’eco dei media sul fenomeno crea confusione e inquietudine nei genitori, educatori, insegnanti. Ci soffermiamo a riflettere su alcune questioni sociali, culturali e di sviluppo evolutivo, che possono aiutare a comprendere meglio gli episodi di prevaricazione e prepotenza, con l’obiettivo di poter intervenire nel modo più adeguato ed efficace.
Nelle dinamiche di gruppo tra bambini e adolescenti, spesso accadono episodi di esclusione, presa in giro, tentativi di prevaricazione. L’interazione tra pari consente di mettersi in relazione con l’altro, offrendo occasioni di crescita e confronto. Nella relazione con l’altro è possibile infatti osservare differenze fisiche o caratteriali, vivere situazioni ci condivisione e di vicinanza, sperimentare disappunto e distanza. Attraverso tutte queste esperienze è possibile costruire un’idea di sé e definirsi come persona. Ecco dunque che, durante l’intervallo a scuola, negli spogliatoi di un centro sportivo, in luoghi di ritrovo tra amici, i bambini e gli adolescenti interagiscono tra loro affrontando momenti di amicizia e divertimento, ma anche conflitti e litigi che possono scaturire in derisione, prepotenza e aggressività. Il confronto con gli altri non è sempre vissuto in maniera positiva, soprattutto tra persone in fase di crescita, che proprio per tale motivo non possiedono competenze e abilità per far fronte a situazioni di conflitto.
Non tutte le forme di prepotenza o prevaricazione però, sono riconducibili al fenomeno del bullismo. Il comportamento di un bambino che attacca verbalmente un suo pari, oppure che agisce un comportamento aggressivo nei suoi confronti può essere letto come una reazione di difesa di fronte a una situazione vissuta come minacciosa o non accettabile per sé. Questo spesso accade nei bambini con difficoltà a gestire le proprie emozioni (non necessariamente per un deficit particolare ma anche solo per il fatto che crescere comporta anche imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni). Queste situazioni, dunque, possono essere lette come atti di impulsività in cui non è riscontrabile l’intenzionalità di arrecare danno all’altro. Quando invece l’aggressività viene utilizzata come strumento di affermazione personale, per dimostrare la propria dominanza sul gruppo senza che vi sia necessariamente una provocazione e rabbia, allora è molto probabile che siamo di fronte ad un atto di bullismo.
Ma cosa spinge un minore ad assumere tale condotta? E cosa manca alla persona che subisce la prevaricazione senza riuscire a difendersi? E perché i membri del gruppo fanno da spettatori senza rendersi conto che il loro atteggiamento fomenta l’espressione di tale fenomeno? E come possono intervenire gli adulti da un punto di vista educativo?
Per rispondere a queste domande bisogna osservare da vicino il contesto in cui accade, l’insieme dei fattori sociali, ambientali e personali che entrano in gioco intrecciandosi e dando vita a questa complessità. Un punto di partenza potrebbe essere quello di considerare l’età delle persone coinvolte, perché in base al periodo evolutivo attraversato è possibile osservare diverse dinamiche e diversi atteggiamenti. Inoltre, osservato in un’ottica relazionale, il Bullismo può essere letto come un modo di relazionarsi che presenta elementi disfunzionali e quindi una situazione di conflitto. Dietro un atteggiamento prepotente, potrebbe esserci un bisogno: di negare le proprie fragilità attribuendole ad un altro, oppure di essere visto e di farsi apprezzare. Ecco dunque che il comportamento dl bullo è quello che gli permette di ottenere dei vantaggi (“se vedo la fragilità dell’altro e mi ci accanisco, riesco a non vedere la mia”; oppure “se mi riconoscono come il cattivo, mi notano e ho un riconoscimento”). Riconoscere quali bisogni sono nascosti da un comportamento aggressivo o remissivo, può essere utile per attivare interventi educativi che diano alternative più adeguate.
Infine, va sottolineato come il bullismo in rete, assume oggi una rilevanza che va di pari passo con le ore che bambini e adolescenti passano con un cellulare in mano o chiusi nella loro camera con un computer collegato a internet. La presenza vigile dei genitori serve ma non basta. Serve un lavoro di educazione preventiva sui pericoli della rete e su come tali pericoli, spesso subdoli, si presentano.